L’affetto particolare che Gesù ebbe sulla terra per i bambini è testimoniato chiaramente dai sacri Vangeli, dai quali si deduce come Egli si compiacesse di stare in mezzo a loro, come amasse imporre loro le mani, stringerli al petto e benedirli, sopportando a malapena che fossero respinti dai suoi discepoli, ai quali rivolse quelle gravi parole: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché il regno dei cieli appartiene a chi è come loro» (Mc 10,13-16). E dimostrò ampiamente l’importanza che dava alla loro innocenza e semplicità quando, dopo aver chiamato a sé un bambino, disse ai discepoli: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli, e chiunque accoglie nel mio nome un bambino come questo, accoglie me» (Mt 18,3-5).
Ricordando queste cose, la Chiesa Cattolica si è preoccupata fin dai suoi primi tempi di avvicinare i bambini a Cristo attraverso la Comunione Eucaristica, che era solita amministrare anche ai neonati. Questo, come si trova prescritto in quasi tutti gli antichi Rituali fino al XIII secolo, avveniva durante il battesimo, e tale usanza in alcuni luoghi durò anche più a lungo; rimane in vigore tra i greci e gli orientali. Inoltre, per evitare il pericolo che i bambini, specialmente se neonati, rigettassero il pane consacrato, si instaurò l’usanza di somministrare loro l’Eucaristia solo sotto la specie del vino.
E non solo durante il battesimo, ma anche in seguito si faceva partecipare frequentemente i bambini al celeste alimento. Infatti, secondo l’usanza di alcune Chiese, si dava l’Eucaristia ai bambini immediatamente dopo il clero; in altri luoghi si davano loro alcuni frammenti dopo la comunione degli adulti.
Tale usanza in seguito cessò nella Chiesa Latina, e si cominciò a non ammettere i bambini alla Santa Mensa se non quando avessero un uso incipiente della ragione e una conoscenza proporzionata dell’Augusto Sacramento. Questa nuova disciplina, già ammessa da alcuni Sinodi particolari, fu confermata solennemente dal Concilio Lateranense IV, nel 1215, con il celebre canone XXI, che prescrive ai fedeli, una volta raggiunta l’età della ragione, la Confessione Sacramentale e la Santa Comunione, con queste parole: «Ogni fedele di entrambi i sessi, giunto all’età della discrezione, confessi tutti i suoi peccati solo e fedelmente, almeno una volta all’anno, al proprio sacerdote, e si sforzi di adempiere, secondo le sue forze, la penitenza prescritta, ricevendo con reverenza, almeno a Pasqua, il sacramento dell’Eucaristia, a meno che, per consiglio del proprio sacerdote o per qualche motivo ragionevole, creda di doversene astenere temporaneamente».
Il Concilio di Trento, senza riprovare l’antica disciplina di amministrare l’Eucaristia ai bambini prima che avessero raggiunto l’uso della ragione, confermò il Decreto Lateranense e pronunciò l’anatema contro tutti coloro che pensassero diversamente: «Chi negasse che tutti e ciascuno dei fedeli cristiani di entrambi i sessi, giunti all’età della discrezione, siano obbligati ogni anno, almeno a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della Santa Madre Chiesa, sia anatema».
Per prescrizione dunque del citato e ancora vigente decreto Lateranense, i fedeli, una volta raggiunta l’età della discrezione, sono obbligati, almeno una volta all’anno, a confessarsi e a comunicarsi.
Ma, proprio nella determinazione di questa età della ragione o della discrezione, si introdussero col tempo non pochi errori e abusi deplorevoli. Altri credettero che l’età della discrezione da fissare per l’Eucaristia dovesse essere diversa da quella richiesta per il Sacramento della Penitenza, affermando che, per quest’ultima, l’età della discrezione è quella in cui si arriva a distinguere il bene dal male, e si è quindi capaci di peccare; per l’Eucaristia, invece, si richiedeva un’età maggiore in cui si potesse avere una conoscenza più completa della fede e una preparazione più matura. E così, secondo le varie consuetudini locali e le diverse opinioni, fu stabilito per la Prima Comunione, in alcuni casi, che fosse data all’età di 10 o 12 anni, in altri prima di quell’età che era stata prescritta.
Tale consuetudine, che con il pretesto di tutelare il decoro dell’Augusto Sacramento, allontana da esso i fedeli, fu causa di molti danni. Accadeva, infatti, che i bambini innocenti, separati da Cristo, si trovassero privi di ogni alimento della vita interiore; da ciò derivava anche che i giovani, privati di un aiuto estremamente efficace, circondati da tante insidie, perduta la loro innocenza, si abbandonassero al vizio prima di aver goduto dei santi misteri. E nonostante la Prima Comunione fosse normalmente preceduta da una più diligente istruzione e da una accurata confessione sacramentale, cosa che in realtà non si pratica ovunque, rimane dolorosa la perdita della prima innocenza, perdita che forse si sarebbe potuta evitare se in età più tenera si fosse ricevuta l’Eucaristia.
Non è meno riprovevole l’uso, vigente in molti luoghi, di proibire la Confessione Sacramentale ai bambini non ancora ammessi alla Mensa Eucaristica, o di non dare loro l’assoluzione. Da ciò deriva che, preda delle catene di peccati forse gravi, continuano a giacere in essi con grave pericolo.
Ma il colmo è che in certi luoghi ai bambini non ancora ammessi alla Prima Comunione, nemmeno in punto di morte è permesso ricevere il Santo Viatico, e così, morti e sepolti con il rito dei bambini, risultano privati degli aiuti della Chiesa.
Questi sono i danni provocati da coloro che insistono troppo nel richiedere preparazioni straordinarie per la Prima Comunione, forse senza rendersi conto che tali cautele derivano dagli errori dei Giansenisti, i quali sostenevano che la Santissima Eucaristia è un premio, non un rimedio per la fragilità umana. Ma in modo molto diverso la interpretò il Concilio di Trento, quando insegnò che essa «è un antidoto per liberarci dalle colpe quotidiane e preservarci dai peccati mortali»; dottrina subito inculcata e confermata dalla S.E. del Concilio con decreto del 26 dicembre 1905, con il quale si apriva l’accesso alla Comunione quotidiana a tutti i fedeli, sia adulti che bambini, con due sole condizioni, cioè lo stato di grazia e la retta intenzione.
E in realtà, non si vede alcuna ragione per cui, mentre in tempi antichi si distribuivano i frammenti delle Sacre Specie ai bambini anche neonati, si debba oggi esigere una preparazione straordinaria per i bambini, che hanno ancora la fortuna di possedere l’innocenza della prima età, e che a causa delle numerose insidie e pericoli dell’età attuale, hanno un enorme bisogno di quel mistico alimento.
Gli abusi che rimproveriamo derivano dal fatto che non si seppe precisare quale sia l’età della discrezione da parte di coloro che stabilirono un’età per la Confessione e un’altra per la Comunione. Ora il Concilio Lateranense prescrive una stessa età per entrambi i Sacramenti, imponendo nello stesso tempo l’obbligo di confessarsi e comunicarsi.
Quindi, così come per la Confessione si suppone che l’età della discrezione sia quella in cui si arriva a distinguere il bene dal male, per la Comunione conviene dire che è quella in cui si sa distinguere il pane eucaristico dal pane comune; e questa è proprio l’età in cui il bambino ha raggiunto l’uso della ragione.
Così la interpretarono i principali interpreti del Concilio Lateranense e i loro contemporanei. Si sa, infatti, dalla storia ecclesiastica che molti sinodi e decreti episcopali, dal XIII secolo, poco dopo il Concilio Lateranense, ammisero alla Prima Comunione bambini di 7 anni.
Abbiamo, inoltre, una testimonianza estremamente autorevole, quella del Dottore Angelico, Tommaso d’Aquino, che così scrisse: «Quando i bambini cominciano ad avere un uso della ragione tale da poter concepire devozione per questo Sacramento (l’Eucaristia), allora si può conferire loro tale Sacramento». E questo è spiegato da Ledesma: «Dico per consenso di tutti che l’Eucaristia deve essere data a tutti coloro che hanno l’uso della ragione, per quanto precoce esso sia; anche se quel bambino conosce ancora confusamente ciò che fa». Questo stesso passo dell’Aquinate è così dichiarato da Vásquez: «Il bambino, una volta raggiunto questo uso della ragione, immediatamente e per diritto divino, contrae tale obbligo, dalla quale non può in alcun modo essere liberato dalla Chiesa». Identica è l’insegnamento di Sant’Antonino, il quale scrive: «Ma quando il bambino è capace di malizia, cioè quando può peccare mortalmente, allora è obbligato al precetto della confessione e quindi della Comunione». E alla stessa conclusione porta il Concilio di Trento, il quale, ricordando nella Sessione XXI, C. IV, che «i bambini che non hanno ancora l’uso della ragione, non sono obbligati da alcuna necessità alla Comunione Eucaristica sacramentale», assegna a tale fatto come unica ragione la seguente: che essi non sono in grado di peccare: «Poiché», dice, «non possono a quell’età perdere la grazia ricevuta da figli di Dio». È dunque chiaro che questo fu il pensiero del Concilio: che i bambini sono obbligati necessariamente a comunicarsi quando possono perdere la grazia peccando. In consonanza con queste sono le parole del Concilio Romano, celebrato sotto Benedetto XIII, con le quali si insegna che l’obbligo di comunicarsi inizia «dopo che i bambini e le bambine hanno raggiunto l’anno della discrezione, cioè quell’età in cui sono in grado di distinguere il pane comune e profano da questo alimento sacramentale, che non è altro che il vero Corpo di Gesù Cristo, e sappiano accostarsi ad esso con la dovuta pietà e religione». E il Catechismo Romano dice: «Quale sia l’età in cui si debbano dare ai bambini i sacri misteri, nessuno può stabilirlo meglio del padre e del confessore degli stessi. A loro, infatti, spetta il dovere di esaminare e interrogare i bambini per sapere se di questo ammirabile Sacramento abbiano acquisito qualche idea e provino qualche piacere con esso».
Da tutto ciò si deduce che l’età della discrezione per la Comunione è quella in cui il bambino sa distinguere il pane eucaristico dal pane comune e materiale, per potersi accostare devotamente all’altare. Non si cerca dunque una perfetta conoscenza in materia di fede, essendo sufficienti pochi elementi, cioè una qualche cognizione; non è necessario neppure il pieno uso della ragione, bastando un uso incipiente, cioè un po’ di uso della ragione. Pertanto, posticipare a lungo la Comunione e fissare per essa un’età più matura è un’usanza del tutto riprovevole e condannata più volte dalla Sede Apostolica. Così il Pontefice Pio IX di santa memoria, nella lettera del Cardinale Antonelli indirizzata ai Vescovi di Francia il 12 marzo 1866, scrisse parole severe contro l’uso iniziato in alcune diocesi di posticipare la Prima Comunione a un’età più matura e prestabilita. E la Sacra Congregazione del Concilio il 14 marzo 1851 corresse un punto del Sinodo Provinciale di Rouen, in cui si proibiva ai bambini di comunicarsi prima dei 12 anni. Non fu diverso il modo con cui questa Sacra Congregazione della Disciplina dei Sacramenti nella causa di Strasburgo il 25 marzo 1910, in cui, trattando la questione se i bambini di 12 o 14 anni potessero essere ammessi alla Santa Comunione, fu risposto che «bambini e bambine, quando abbiano raggiunto l’età della discrezione, cioè l’uso della ragione, devono essere ammessi alla Santa Mensa».
Dopo aver ponderato con maturità di giudizio tutte le ragioni esposte, questa S. Congregazione della Disciplina dei Sacramenti nella Congregazione Generale celebrata il 15 luglio 1910, affinché i suddetti abusi siano eliminati e i bambini fin dalla tenera età si uniscano a Cristo, vivano della sua vita e trovino in Lui una difesa contro i pericoli della corruzione, ritenne opportuno stabilire le seguenti norme, da osservarsi ovunque riguardo alla Prima Comunione dei bambini:
I. – L’età della discrezione sia per la Confessione che per la Comunione è quella in cui il bambino inizia a ragionare, cioè al compimento del settimo anno o più, o anche meno. Da quel momento inizia l’obbligo di soddisfare a entrambi i precetti della Confessione e della Comunione.
II. – Per la Prima Confessione e la Prima Comunione non è necessario un pieno e perfetto conoscimento della dottrina cristiana. Il bambino, tuttavia, dovrà in seguito imparare l’intero catechismo, in modo proporzionato alle forze della sua intelligenza.
III. – La conoscenza della Religione richiesta nel bambino, affinché possa prepararsi convenientemente alla Prima Comunione, consiste in questo: che comprenda, nella misura in cui lo permettono le forze della sua intelligenza, i misteri della Fede necessari, e sappia distinguere il Pane eucaristico dal pane comune e materiale, per potersi accostare alla Santissima Eucaristia con la devozione di cui è capace la sua età.
IV. – L’obbligo di soddisfare al precetto della Confessione e della Comunione imposto al bambino spetta a coloro ai quali compete la sua cura, cioè i genitori, il confessore, gli educatori e il parroco. Inoltre, l’ammissione del bambino alla Prima Comunione è compito, secondo il Catechismo Romano, del padre, o di chi lo sostituisce, e del confessore.
V. – I parroci si impegnino ad annunciare e celebrare una o più volte all’anno la Comunione Generale dei bambini, e ad ammettere alla stessa non solo i nuovi bambini a comunicarsi, ma anche altri che, con il permesso dei genitori o del confessore, come si è detto, hanno già partecipato alla Comunione. Sia per gli uni che per gli altri devono esserci alcuni giorni di istruzione e preparazione.
VI. – Chi si prende cura dei bambini si impegni con il massimo zelo affinché, dopo la Prima Comunione, continuino a comunicarsi frequentemente e, se possibile, anche ogni giorno, secondo il desiderio di Gesù e della Madre Chiesa, e con la devozione di cui è capace la loro età. Ricordino inoltre tutti coloro ai quali è affidato tale compito il gravissimo dovere che spetta loro di curare che detti bambini continuino a frequentare l’insegnamento del catechismo che si tiene in pubblico o, almeno, sostituiscano in altro modo l’istruzione religiosa degli stessi.
VII. – L’usanza di non ammettere alla Confessione o di non assolvere i bambini che hanno raggiunto l’uso della ragione è del tutto riprovevole. Pertanto, gli Ordinari cureranno che tale usanza sia completamente soppressa, servendosi anche dei mezzi offerti dal diritto.
VIII. – Completamente detestabile è l’abuso di non amministrare il Viatico e i Santi Oli ai bambini che hanno raggiunto l’uso della ragione e di celebrare i loro funerali con il rito dei bambini. Contro coloro che si ostinano a mantenere tali usanze, gli Ordinari procedano con il massimo rigore.
Tutte le presenti disposizioni emesse dagli eccellentissimi Cardinali di questa Sacra Congregazione sono state approvate da Sua Santità Nostro Signore Papa Pio X nell’Udienza del giorno 7 del mese in corso, con l’ordine dello stesso Santo Padre che il presente Decreto fosse pubblicato e promulgato. Lo stesso Santo Padre ordinò a ciascuno degli Ordinari che il presente decreto non solo fosse comunicato ai parroci e al clero, ma anche al popolo, e espresse il desiderio che fosse letto ogni anno nella sua versione in lingua volgare, durante il periodo pasquale. Inoltre, detti Ordinari, al termine di ogni quinquennio, dovranno presentare alla Santa Sede una relazione, così come degli altri affari della rispettiva Diocesi, anche della fedele obbedienza al presente decreto.
Si esegua nonostante qualsiasi ostacolo.
Roma, dal Palazzo della suddetta Sacra Congregazione, il 7 agosto 1910.
D. Card. FERRATA, Prefetto
Fil. Giustini, Segretario
Sede:
Casella postale 135 – 67100 L’Aquila (AQ) – Italia